Le critiche

Vittorio Sgarbi parla così della mia arte…

A sapere che Andrea Rizzardi, veronese quarantenne, si è formato come architetto, verrebbe quasi immediato, per chi dovesse scrivere sul suo conto, porre in relazione di consequenzialità la sua professione e il modo in cui interpreta l’arte.

Credo che qualcuno, fra quanti mi hanno preceduto nel compito, non sia sfuggito alla tentazione. Ogni opinione critica è lecita, naturalmente salvo poi avere il garbo di dimostrare la fondatezza, altrimenti si correrebbe il rischio di impiegare un semplice espediente retorico, talvolta in stretta parentela con il luogo comune. Per quanto mi sia sforzato di trovarla, questa consequenzialità lampante non l’ho individuata.

Certo, ci sono serie di opere in Rizzardi, che più rivelano un intento organizzativo assimilabile alla progettualità architettonica, come se si volesse “costruire” l’immagine e conferire il giusto rilievo strutturale alle sue basi fondanti. Penso, in proposito, alla serie di Multipiano a spruzzo, che rielabora liberamente, confidando nella dinamica percettiva tra cavo e pieno, elementi architettonici opportunamente stilizzati come profili di cupole, rosoni, semplici finestre, con esiti anche curiosi, come capita in Magia di Cà d’Oro, dove le arcature ogivate diventano in controparte stampi di condom.

Penso a Ragnatele, traiettorie mentali, circuiti rettilinei, spesso a percorso stellare, determinati dalla semplice tensione di fili tirati da chiodi, dietro e sopra i quali si sviluppano altre trame, cromatiche, segniche, materiche. Se pure riconoscessimo una matrice “architettonica” a questo genere di opere, fosse anche di natura genetica, ovvero come presupposto tecnico di uno specifico fare artistico, dovremmo ammettere che avrebbe un’incidenza infinitamente più limitata rispetto alla sua componente strettamente pittorica. Nulla, infatti, in quelle e altre opere, potrebbe fare a meno della conoscenza, tecnica non meno che formale, della pittura del Novecento, recando l’impronta di esperienze facilmente riconducibili in quanto ampiamente storicizzate: nel caso dei Multipiano a spruzzo.

Per esempio, il valore assegnato a una materia dotata di una sua precisa peculiarità, sabbiosa e polverizzata, anche nella nobile variante dell’oro, capace di superare in termini minimali, verificabili al tatto più che alla vista, la tradizionale separazione tra seconda e terza dimensione fisica, una materia che è figlia delle formidabili anticipazioni tardo-futuriste di Enrico Prampolini, convive con l’uso dell’acrilico a pressione e la sagoma, riproponendo in tal senso un effetto di serialità, moderno, ma con un fondo ancora artigianale, in qualche modo alternativo al carattere più “industriale” e mediatico della Pop Art americana, che era stato caratteristico del Pop italiano, in special modo di quello romano dei vari Angeli, Schifano, Festa. In maniera analoga, potremmo riconoscere un antecedente illustre alle Ragnatele, Traiettorie mentali, quasi un archetipo ideale, più ancora che formale: il fascino esercitato su Marcel Duchamp dai reticolari lineari di fili, ovvero dalla capacità che strutture elementari di questo tipo hanno di definire volumi geometrici virtuali, inconsistenti, eppure evidenti all’occhio, travalicando qualunque barriera sensoriale fra pianare e plastico, fra opera e ambiente, infine tra pittura, scultura e architettura. Naturalmente, il gioco sarebbe ancora più facile se considerassimo le opere di Rizzardi che più esplicitamente si dichiarano pittoriche, come nel caso di tutte quelle composizioni geometriche a iterazione modulare per le quali non si abaglierebbe di certo a indicare nel solco di una direttrice storica con cui poter congiungere, almeno in potenza, Dorazio e Vasarely . Che dire poi, della pittoricità al  100% di opere come Conflitto 1, cui l’inserto cartaceo a svolazzo non riesce a rinnegare un’anima profondamente segnata dall’Action Painting, riscontrabile anche in molto Collages, fra i quali più convincenti di Rizzardi, dove peraltro, nel ruolo degli inserti a sbalzo, si accentua il peso espressivo e concettuale del ready-made da civiltà industriale avanzata, fornendo in tal modo delle riedizioni aggiornate e liricizzate di motivi già insiti, sempre per rifarsi a certe epoche storiche, nella Junk Art statunitense come bricolages dei Nouveau Rèalisme.

Ce ne abbastanza, mi pare, per poter affermare che nel caso di Andrea Rizzardi abbiamo a che fare con un artista a tutti gli effetti, per formazione tecnica, cultura, sensibilità, che suo malgrado si trova a essere anche architetto.

 

Josè Van Roy Dalì, figlio del geniale Salvador Dalì, racconta così le mie opere…

Uno stile insolito ricco di colore, melodico, magistrale e intricato quello dell’Artista Andrea Rizzardi, in cui sperimentazione, è la parola chiave. Sperimentazione nelle forme, nelle combinazioni di colori. Ogni elemento è pensato e studiato per dar vita ad uno stile fresco, irriverente, che stupisce e colpisce per le sue caratteristiche non convenzionali. Le forme si trasformano disegnando ampi volumi e sofisticati giochi astratti, oppure si combinano in mix forti e ricchi di stile, dal disegno forte e dal colore intenso. Andrea Rizzardi segue le tendenze artistiche con gusto e spensieratezza e fonde creatività, fantasia, istinto. Una visione che attrae e coinvolge senza mezze misure che diviene mezzo evocativo attraverso cui l’artista comunica il suo mondo culturale ed espressivo.

 

Il Prof. Paolo Levi, mi racconta così…

Artista poliedrico e architetto di chiara fama, nato e cresciuto con ambienti artistici e teatrali, i suoi lavori sono il frutto di una lunga e costante ricerca estetica ed espressiva che in questi anni ha fatto sì che trovasse un posto d’onore nel panorama dell’arte contemporanea italiana come uno dei più interessanti esponenti dell’arte astratta e informale. Le composizioni di Andrea Rizzardi superano i limiti della bidimensionalità pittorica assemblando livelli diversi e agendo poi per sottrazione attraverso pieghe, strappi, tagli che incidono la materia, invitando l’osservatore a guardare oltre quello che appare in superficie: egli disegna, sovrappone, ricompone e colora per dare vita a opere che sono l’espressione di un linguaggio , tra astrazione e informale, assolutamente personale. Il maestro, con i suoi lavori di composita espressività mette in diretta comunicazione reale e immaginario, fondendoli in una compatta e coerente soluzione narrativa, coinvolgente per la scelta dell’uso di cromatismi intensi e squillanti. I parametri dell’impianto compositivo propongono situazioni dichiaratamente informali con un guizzante rincorrersi di segno e colore, a cui si affiancano soluzioni di spessore materico e di rigore progettuale, e dove si affermano percorsi concettuali descritti nelle titolazioni. L’estro creativo trova cosi la sua espressione in quelle che potremmo definire “pittosculture informali” caratterizzate da una sensibilità raffinata nella scelta degli accostamenti cromatici e nella costruzione dell’architettura compositiva. Il ricorso alla tecnica mista, permette infatti a Andrea Rizzardi di sperimentare, di elaborare soluzioni creative eterogenee. Se da una parte la sua produzione si rifà alla matrice istintuale dell’action painting, dall’altra sposta l’attenzione sullo studio della forma e delle geometrie, degli spessori, facendo espandere il dipinto sul piano della tridimensionalità, catturando lo sguardo dell’osservatore, che resta quasi ipnotizzato nel ricercare la percezione di emozioni, sottese all’impeto creativo dell’artista. In questo flusso creativo avvengono interazioni tra colori, tensioni tra le forme, contatti, intersezioni, sovrapposizioni, sottrazioni: l’osservatore capta la fitta trama segnica che assume una funzione catartica, suggerendo un processo di riflessione introspettiva e di rigenerazione spirituale.

 

Giovanni Cerri parla della pluralità dei modi di esprimersi dell’artista, affermando che la mia arte…

Il Novecento è stato il secoli delle “avanguardie”, dei molteplici movimenti che, nel loro avvicendamento, si sono contesi un prezioso spazio nella storia dell’arte. Ed oltre alla pittura e alla scultura – per citare i sue grandi “filoni” della tradizione artistica – da Duchamp ( siamo negli anni ’10 ) in poi si sono aperte ulteriori opportunità creative alle opere “scolpite” o “dipinte”. Dagli anni ’50 in avanti sono proliferate le tendenze che hanno avuto come presupposto l’idea e su di essa – più che sull’opera – hanno fondato la loro importanza e li riposto il significato intellettuale.

Si pensi, poi alla progressiva commistione delle tecniche e dei linguaggi avvenuta con il grande fenomeno artistico – ma anche sociologico e mediatico – della Pop-Art, fino ad arrivare – per citare percorsi opposti – all’essenzialità e all’estrema sintesi dell’Arte povera o al rigore di una certa Arte Concettuale, o ancora, alle esperienze della Body Art, che chiamano in causa il corpo come fondamento ed espressione totale e “rituale” ( si pensi all’azionismo o alle performances ). Nel secolo scorso, insomma, si è visto e sperimentato molto, in qualsiasi direzione si orienti lo sguardo.

Oggi l’arte sembra non essere più condizionata da tendenze, movimenti o avanguardie. Esiste, infatti, una pluralità di modi con cui l’artista è libero di esprimersi, dalle tecniche tradizionali alle installazioni, ai video. Anzi, si ha l’impressione che i “puristi” siano sempre meno e che lo spirito del nostro tempo influenzi – con le sue contraddizioni del “multiforme”, del “villaggio globale” e delle mescolanze tra etnie, culture e lingue diverse – lasci una traccia indelebile anche nel lavoro degli artisti.

La pittura, ad esempio, per avvicinarsi al mondo del giovane Andre Rizzardi, in questi ultimi anni appare – per collegarci a ciò che dicevamo – sempre più “ibrida”, intaccata dalla fotografia, dal cinema, dal linguaggio pubblicitario. Le nuove ed estese possibilità di intervento digitale e l’alto grado di sofisticata mistificazione dell’immagine a cui siamo giunti hanno quasi annullato i confini tra abilità manuale e artificio tecnico. In questa panoramica, caratterizzata da larghi orizzonti e quindi anche disorientante, un giovane ha d’avanti a sé un ventaglio enorme di alternative; perciò è quanto mai importante che abbia acquisito una solida consapevolezza delle scelte che intende fare. Andrea Rizzardi, in questi primi anni di attività, dimostra di aver individuato un suo ambito di ricerca, mirando alla definizione di una immagine pittorica e al contempo scenografica. Nel suo lavoro, infatti, percepiamo delle suggestioni provenienti da una teatralità della “messa in scena”, soprattutto in quell’inseguire e dar forma – anche in modo allusivo – a ciò che sta dietro, oltre l’immagine in primo piano. Siano visioni surreali o tendenti al metafisico, monocromatiche o scosse dalle vibrazioni di vivaci tonalità,  le opere di Rizzardi, ci attraggono per quel “gioco” di tela ritagliata, con il quale l’autore ricava forme architettoniche, geometriche o più liberamente astratte, cercando aderenze nella contemporaneità. Quella “parte mancante” che scende, scivola senza separarsi dall’origine, come un’ombra che ha un suo peso autonomo, diventa il motivo unificante di questo recente ciclo di opere. Peraltro, i temi, che sono dei pretesti formali per una riflessione sui equilibri compositivi e strutturali dell’opera, sono semplici raffigurazioni di “sky line” di città, chiese, “nature morte” o più complesse figurazioni geometriche modulari raffigurate con un segno grafico ed essenziale, nelle quali, a volte, vediamo comparire oggetti della quotidianità ( C.D., Mouse … ).

In realtà potremmo considerare questi elementi come dei “sipari”, per citare uno dei titoli più significativi. Un sipario che qui diventa il vero personaggio, il protagonista che viene smascherato e dietro il quale si avverte qualcosa da svelare, fosse anche l’ironia beffarda di un vuoto incolmabile, di una silenziosa assenza da riempire con la passione e la tensione della creatività.

 

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